I caffè fanno nascere storie

di Arianna Pilotta



L’aspetta fuori scuola. Lei lo vede subito, in mezzo alla via ingombra di persone. 

Si guardano per un istante. Entrambi sorridono. 

– Avevi promesso che non saresti venuto. 

– È vero – dice il ragazzo – ma visto che ormai sono qui, se ti va, potremmo fare una passeggiata.

Attraversano la piazza. Attorno alla fontana, con i visi rivolti verso il sole, ci sono studenti di tutte le età che addentano pezzi di focaccia, leggono o giocano ridendo. 

I due ragazzi si immergono nei vicoli, in quell’intreccio di case e botteghe, tra gli odori dei locali e voci di lingue sconosciute. Camminando parlano di libri, musica che nessuno conosce, dei paesi che vorrebbero visitare. Sembrano due satelliti che si rincorrono nell’orbita dello stesso pianeta.

– Mi piace questo posto – dice la ragazza guardandosi attorno.

 Il locale in cui si sono seduti è schiacciato in un vicolo ricoperto di piante e lanterne di metallo. Evita di guardare negli occhi il ragazzo, per paura che possa accorgersi di quanto sia impacciata. 

Il proprietario li osserva con i suoi occhi di anziano, mentre i loro caffè diventano freddi. 

– Chissà qual è la sua storia. 

Ai due ragazzi piace creare storie. Pensano sarebbe interessante raccontare quella di qualcuno. Perché non quella di quell’uomo, che indossa abiti di un’altra epoca, abbraccia i clienti con i suoi gesti, il suo sguardo. Sul cui volto si intrecciano mille rughe. 

– Dev’essere nato sul finire della guerra. 

– Ha avuto un’infanzia felice, nonostante vivesse solo con la madre e non avesse molti soldi.

La ragazza gioca con una bustina di zucchero. E’ la prima volta che racconta una storia con qualcuno. Ed è incredibilmente semplice, spontaneo. Le idee che le vengono in mente, le dice lui prima ancora che decida di parlare e viceversa. Nascono i dettagli della vita di quell’uomo. Il carismatico del gruppo. Quello che, ovunque vada, viene riconosciuto e salutato. 

– Poteva andare a lavorare ovunque. Era intelligente e… 

– Ma era bravo nei lavori manuali. 

– Incontrò un tale, un falegname? 

Entrambi osservano le lanterne appese. Devono essere bellissime da vedere la sera, quando vengono accese. 

– Un fabbro. 

– E questo – il ragazzo allarga le braccia – era dove nascevano le loro creazioni. Quello che ora è l’interno del locale, veniva usato come magazzino.

 

Nella testa della ragazza, scintille e suoni metallici sostituiscono il vociare dei clienti seduti sotto gli ombrelloni del bar. 

– Divenne abilissimo, quasi da superare il suo maestro. 

– Che gli lasciò tutto, una volta diventato troppo vecchio. 

Ora la ragazza riesce a guardarlo negli occhi. Trova quasi difficile non farlo. 

Lo conosce da poco, eppure lo ha già capito. È fatta così, anche se volesse non può farci nulla.

Il ragazzo si sposta sul bordo della sedia. – Poi un giorno, mentre stava lavorando, qualcuno si fermò fuori dal cancello per osservarlo. 

Ah, si? E chi era? 

– Una ragazza. 

– Una ragazza che lavorava sull’altro lato della strada e passava davanti all’officina tutti i giorni. 

– Si, ma quel giorno, chissà perché, decise di fermarsi. 

Doveva essere davvero affascinata dal lavoro di quel ragazzo che piegava il metallo. Perché iniziò a fermarsi tutti i giorni tornando dal lavoro. 

Il fabbro e la ragazza iniziarono a parlare. 

– E poi –  il ragazzo si sistema gli occhiali – insomma, da cosa nasce cosa. 

– Ma i genitori di lei non erano d’accordo. 

La ragazza fa un calcolo. Hanno deciso che lei è più giovane di cinque anni. 

– Siamo nella metà degli anni ‘60, lei ha vent’anni e lavora in un ufficio. É circondata da quelli che sua madre chiamerebbe ottimi partiti

– Inoltre era graziosa. 

– Irrilevante. – La ragazza fa un sorriso. – Comunque, non si sarebbe mai sposata con un noioso uomo d’ufficio incravattato. 

– Quindi, il fabbro ha una possibilità? 

– Assolutamente. 

Nei tavoli attorno a loro, la gente cambia. 

– Ora però dobbiamo capire come questo posto si è trasformato da un’officina piena di lastre di metallo a un locale affollato di piante. 

– Forse, i due ragazzi cercarono di creare qualcosa che li unisse, ma che allo stesso tempo potessero condividere con gli altri. 

– Lui realizzò tutti gli arredi e lei pensò alle piante e ai fiori. Sapevano entrambi creare, solo che avevano modi diversi di farlo. 

La ragazza immagina la scena. Lei con un vestito di seconda mano e i capelli coperti da un fazzoletto, china a travasare terra in quel vaso nell’angolo. Lui, poco distante, che ridipinge il cancello, le mani coperte di calli e macchie di vernice. 

Immagina il giorno dell’apertura. Le fiamme all’interno delle lanterne che proiettano sui muri un intreccio di punti e linee, le risate degli amici mescolarsi alla canzone del jukebox, i loro corpi confondersi in una danza disordinata. 

– E poi, non troppo tempo dopo, ebbero un… o una? 

 Una cameriera sorpassa il tavolo al quale sono seduti. Non è giovane come le altre, ma il suo è uno di quei sorrisi che emanano calore e gentilezza. 

– Potrebbe essere sua figlia? 

La ragazza annuisce. – Non ho visto donne anziane, però. 

Il ragazzo la guarda e lei capisce. 

– La figlia deve essere rimasta ad aiutare il padre dopo che lei è morta. Forse non era quello che voleva fare nella sua vita, ma gli vuole troppo bene per poterlo lasciare solo. 

Anche se è una storia inventata, la ragazza si è intristita. Non sopporta di assistere alla morte di un personaggio. 

– Comunque ci sono tre buchi in questa storia. 

– Mmm… – fa il ragazzo pensando. – Non sono bravo con i nomi. 

– Nemmeno io. 

Decidono che la figlia deve avere il nome di una pianta, o meglio ancora di un fiore. Lo sguardo del ragazzo si posa sulle rose attorcigliate attorno alla porta del locale. La ragazza annuisce. Trovare i nomi per gli altri due personaggi, invece, è un po’ più difficile. 

– Sarebbe interessante chiedere a quel signore qual è davvero la sua storia. 

– Dici che non abbiamo indovinato proprio niente? – Chiede il ragazzo ridendo. 

– Sicuramente c’è qualcosa che non torna. Leggi cosa c’è scritto sulle tazzine. 

I due ragazzi si mettono a ridere. 

– Okay, forse abbiamo sbagliato qualcosina. 

E forse la storia che hanno creato contiene elementi già visti, ripresi da cose lette, sentite, osservate. Lo sanno, ma non ha poi tanta importanza. Così come non ha importanza il fatto che, come dicono le tazzine, quel locale è aperto dal 1936. O che la cameriera non sia affatto la figlia del proprietario. 

                                                                        

 

L’anziano con gli abiti di un’altra epoca osserva i ragazzi seduti nel tavolino all’angolo. Sono seduti lì da ore. Parlano, ridono. Passando, ha sentito il pezzo di una storia. 

Ma non è per via delle loro parole che continua a sbirciare nella loro direzione. A incuriosirlo, o forse ad attrarlo, è stato il modo in cui si guardano. 

Anche lui un tempo aveva guardato così una persona. Lei, che aveva passato la vita al suo fianco, nonostante le difficoltà che avevano affrontato negli anni vissuti insieme. 

Ripensa a quel giorno, a quando si sono conosciuti. 

Era una mattina del 1965. Lui se ne stava seduto proprio al tavolino occupato dai due ragazzi, fumando e godendosi il silenzio prima del servizio. 

Non sentì nemmeno il cancello cigolare o i suoi passi avvicinarsi. 

– Scusi? 

– Ma… signorina mi ha fatto prendere un colpo. Comunque apriamo fra mezz’ora. 

La ragazza non si scompose. 

– Lo so. Sono la sorella di Nino. È malato e le consegne oggi le faccio io. 

– Solitamente lui non passa da qui, ma dal retro. Si sarà scordato di dirglielo. 

– Oh no, me lo ha detto, ma mica ho tutto il giorno da perdere e poi mica mi paga. Il latte lo vuole oppure no? 

Il ragazzo la osservò. Non aveva mai sentito una donna parlare così. 

– Signorina senta, il latte lo può lasciare qui, ci penso io a portarlo dentro. 

– Perché, pensi non sia capace di portare una cassa? E poi, signorina ci chiami qualcun altra. 

Si guardarono per un istante, poi entrambi sorrisero. 

                                              

 

– Allora sentiamo, come dovrei chiamarti?

– Tutto bene, ragazzi? 

L’anziano batte lo scontrino e rivolge ai due uno dei suoi abbracci. 

– Pago io! 

– Non esiste – ribatte il ragazzo.

La ragazza lo guarda storto, ma non riesce a non sorridere mentre, uscendo dal locale, le loro mani iniziano a cercarsi. 



error: Content is protected !!